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27 febbraio 2018
Andrea Maroè

Con i cani e le ciaspole sulla neve fresca del Monte Cuarnan

Ha nevicato a bassa quota. Guardo il Faeit da casa, è ricoperto di neve fino al vecchio borgo Cragnolin, dietro il Cuarnan è invisibile. Sono le sette e trenta. Avevo già preparato l’attrezzatura. I cani saltano nel bagagliaio. Solo da Artegna intravedo parte del Monte Cuarnan disperso tra le nuvole e la neve. L’odore dei cani eccitati riempie l’auto e quando apro il finestrino per fare una foto, l’aria fresca e pungente mi accarezza il viso.

A Montenars incontro la prima neve. Lascio l’auto sopra il cimitero. I cani scorrazzano per il vecchio borgo mentre mi preparo. Ho dimenticato di caricare i bastoni. Alzo le spalle tre me e me “farò senza” e mi incammino sulla prima rampa insieme a Thoer e Wolf.

Entro subito nel sentiero nel bosco. I cani mi precedono nella neve fresca non molto alta. Cammino piano tra gli alberi rotti dalla tempesta di agosto della scorsa estate e quelli schiantati dalla galaverna di due inverni fa. Il bosco è silenzioso. La neve attutisce tutti i rumori. Nevica piano, tra i rami che trattengono buona parte della neve, mentre il terreno umido e non gelato è alquanto scivoloso.

Sot de ploe fam, sot de nef pan

(ndr. dal friulano "sotto la pioggia – fame, sotto la neve – pane"), penso ricordandomi i detti di mio zio.

Ogni tanto lo snowboard che porto infilato nello zaino si intreccia nei bassi rami e mi costringe a contorsionismi strani per poter procedere. La neve aumenta e cade più decisa ma non abbastanza da permettermi di scendere tra il bosco con lo snow. Molti sassi e rami divelti affiorano sul sentiero. Spero che più in alto ci sia più neve. Arrivo alla Zuc de Cros e guardo la pianura che ancora sembra insonnolita in questa mattina intrisa di aria nevosa. Qui ci sono circa 10 centimetri di neve. Ancora troppo pochi per scendere con lo snow, ma in previsione del viaggio verso la cima e non avendo gli scarponi adatti, indosso le ciaspole che almeno hanno i denti di acciaio per ancorarsi a rocce, neve e ghiaccio. La mancanza dei bastoncini si fa subito sentire. Ma i cani aprono allegri la strada tra la neve. I bassi noccioli mi costringono a inchinarmi dinanzi alle loro chiome e le ginocchia ne risentono un po'.

Finalmente oltrepasso la quota degli arbusti. Sono sopra i mille metri. Seguo il sentiero nascosto dalla neve recuperando nella memoria i sassi affioranti. Conosco questa montagna, la mia montagna, la prima che si erge sopra la pianura friulana, regalando una scorci di Friuli preziosi come perle, fin da quando ero ragazzo. Centinaia di volte son venuto a trovar pace quassù. E anche questa volta son sicuro non mancherà di regalarmi sensazioni nuove. A volte i cani nella loro frenesia non “imbroccano” il sentiero che giace nascosto sotto il manto di neve che ora oltrepassa i quaranta centimetri. Allora si fermano, si girano a guardarmi, attendono di capire dalla mia espressione se andare a destra piuttosto che sinistra. Appena intuiscono la strada riprendono a saltare felici tra la neve.

Intanto io salgo sempre più lento. Solo pochi anni fa, a questo punto i cani si sarebbero posizionati dietro, lasciando che aprissi il sentiero con le ciaspole e, con la lingua a penzoloni, mi avrebbero seguito adoranti.  Ora il Wolf procede spedito, con la sua schiena larga che raccoglie la neve che cade, e su alcune asperità del sentiero, appoggia le zampe davanti, imperioso si erge a guardare indietro se ci siamo tutti, poi, quasi altezzoso nella sua supremazia riprende ad aprire la strada. Thor allora torna verso di me, si avvicina quasi a spronarmi, quasi a dirmi “Su avanti! Non eri tu un tempo che guidavi le spedizioni?”. Io lo accarezzo sorridendo, e lui torna trottando a seguire la coda, bandiera sventolante tra la neve, dell’imperioso suo compare.

Attendo di veder comparire alla mia destra il vecchio rifugio, ora ristrutturato, dove ho passato tante notti con i miei amici di gioventù e dove sognavo si spiccare il volo, correndo sul tetto, allora piano, e di planare librandomi sull’intera pianura. Invece, nascosto nella neve che cade, il rifugio improvviso mi compare proprio davanti. Ma non mi fermo. Il redentore mi chiama. Con un vento forte che si alza improvviso, dalla gola di Sella Foredor. E più salgo più il vento diventa bufera che spazza potente la cima. Intravedo la chiesa, mi riparo nel suo piccolo portico ma il vento vorticoso lo riempie di neve. I cani si rannicchiano in un angolo mentre cerco di cambiarmi e di preparare lo snow.

La temperatura repentinamente si è abbassata, ho le mani gelate, non riesco neppure ad allacciare il casco. La neve ridotta ad aghi sferzanti penetra ovunque. I cani sembrano impauriti. Riparto con la tavola sotto il braccio. Sento che appena sotto la cima il vento si fermerà. Riguardo la scultura del Cristo risorto del papà del mio amico Nando, il vecchio Patat, con le sue braccia che chiamano il cielo. Lei mi ha chiesto una preghiera. Poi inforco la tavola e mi butto sulla neve. Passo veloce davanti al rifugio.

Wolf mi precede sulla pista scendendo a precipizio sulla traccia della salita, Thor invece segue talmente dappresso la mia tavola che più di una volta mi fa capitombolare nella neve soffice e nei sassi nascosti. Basta saper cadere, penso, lasciarsi andare, e con una capriola, ricoperti di neve, ripartire. Non c’è neve sufficiente per snowbordare decentemente ma poco importa. La tavola scivola anche sull’erba, sotto la neve, si pianta nei sassi, mi precipita per la ripida discesa. Ma sempre mi rialzo, ridendo forte, come un enorme bambino, ansimando felice e pieno di neve dentro tutti i vestiti, mentre intorno i cani abbaiano o mi guardano stupiti, sopra tutta la pianura silenziosa, che non immagina e non sa.

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Andrea Maroè

Cerco, arrampico, misuro e difendo gli alberi più vecchi, grandi, maestosi e misteriosi del nostro pianeta, ma amo vivere i nostri boschi e la nostra splendida natura.

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